
Luciano Spalletti, con il tricolore cucito sul petto e un tatuaggio fresco sul braccio, giurava amore eterno. “Dopo il Napoli, mai più un club in Italia”, disse. Sembra passata una vita, eppure era solo ieri. Oggi, quell’allenatore, è pronto a sedersi sulla panchina che più di ogni altra rappresenta l’antitesi sportiva di Napoli: quella della Juventus. E mentre qualcuno a Torino festeggia, qui all’ombra del Vesuvio ci si chiede, con un misto di rabbia e sarcasmo, come si sia potuto dimenticare tutto così in fretta.
🚨🤍🖤 All documents have been approved: Luciano Spalletti signs in as Juventus manager until June 2026, to be extended if qualify to UCL 2026/27. pic.twitter.com/muGDWZA2Pc
— Fabrizio Romano (@FabrizioRomano) October 29, 2025
La Promessa: “Impossibile tornare da Avversario” (Marzo 2025)
A ricordarlo fa quasi tenerezza. Spalletti, ospite in tv, era categorico. Aveva parlato di un’esperienza totalizzante, della “maglia di Maradona”, di un legame che rendeva “difficile tornare da avversario”. Parole sante. Talmente sante che il prossimo 7 dicembre tornerà al Maradona proprio da avversario, per la gioia di chi ha sempre creduto poco ai suoi slanci romantici. La coerenza, evidentemente, è un optional quando chiama la Vecchia Signora.

La “Scusa” Perfetta: L’Orgoglio Ferito e la Chiamata da Torino
Ma come si giustifica un voltafaccia del genere? Semplice, con una delusione. La cacciata dalla panchina della Nazionale, vissuta come un affronto personale, è diventata l’alibi perfetto. Un uomo ferito nell’orgoglio, “triste, solitario e finale”, ha bisogno di una cura. E quale medicina migliore di una chiamata da Torino, anche a costo di stracciare ogni promessa? L’occasione di “rimettere a posto le cose”, come ha detto lui, val bene un tradimento. Specie se l’alternativa è restare fuori dal giro che conta.
Un Contratto “da Precario” per la Gloria Personale
E che non si parli di progetto. Le condizioni accettate da Spalletti raccontano tutta un’altra storia. Un contratto fino a giugno, rinnovabile solo se porta la squadra in Champions, senza alcuna garanzia. In pratica, un incarico “a gettone” pur di poter dire di aver allenato anche la Juventus. Una scelta di carriera, legittima per un professionista, certo. Ma che stride terribilmente con le lacrime e i giuramenti di pochi mesi fa. Nessuno a Napoli dimentica lo scudetto, sia chiaro. Ma da oggi, ricorderemo anche che le promesse, a volte, durano meno di una stagione.
 
  
 
