
Analisi del caso. La foto di Aurelio De Laurentiis seduto sulle scale della tribuna d’onore a Riyad non documenta una punizione, ma un gesto scelto dal presidente del Napoli.
Secondo le ricostruzioni raccolte nell’area hospitality, De Laurentiis avrebbe rifiutato il posto assegnato accanto ai vertici di Lega e FIGC (De Siervo e Gravina) per marcare la distanza dalla governance del calcio italiano.
Nella stessa serata, il club non ha aderito alla proposta facoltativa di stampare i nomi in arabo sulle maglie, iniziativa di marketing accettata invece dal Milan.

Lo strappo visivo: l’Aventino di De Laurentiis
In un contesto fatto di cerimoniali e foto di rito, la scelta di Aurelio De Laurentiis rompe lo schema.
L’immagine che resta di questa Supercoppa — oltre al 2‑0 sul campo firmato Hojlund‑Neres — è quella di un presidente isolato, seduto su uno scalino di cemento o su una sedia di fortuna, distante dai posti riservati alle autorità.
Più che un gesto di vittimismo, viene letta come una strategia comunicativa: sedersi accanto all’Amministratore Delegato Luigi De Siervo, con cui lo scontro su diritti TV, fondi e calendario è noto da tempo, avrebbe trasmesso un segnale di tregua.
Restando defilato, De Laurentiis ha voluto ribadire che il Napoli si considera fuori dal “palazzo” che guida la Serie A.
Il “no” alle maglie in arabo: identità contro marketing
Il secondo livello del caso è commerciale. Il pubblico saudita ha accolto il Milan con ovazioni e maglie rossonere.
Il club è da anni protagonista di una strategia di soft power: comunicazione in arabo, iniziative nel Golfo e, per la Supercoppa, la scelta di stampare i nomi dei giocatori traslitterati in arabo sulla schiena.
Al Napoli era stata proposta la stessa opzione, confermata come iniziativa facoltativa di marketing.
Dalle indiscrezioni filtrate dal club, la posizione di De Laurentiis è stata di netto dissenso e si è tradotta in un rifiuto. Perché?
- Orgoglio identitario: il Napoli considera la maglia un elemento non negoziabile, legato alla città e ai tifosi, più che allo spettacolo offerto all’host straniero.
- Coerenza di brand: modificare la divisa storica per una singola gara, in un contesto già discusso per stadio semivuoto e tifo “di rappresentanza”, sarebbe stato percepito come una svendita dell’immagine azzurra.
Il risultato è stato uno stadio apertamente più vicino al Milan, brand globale e “adattato” al mercato locale.
Ma quando il Napoli ha colpito sul campo, il silenzio dei tifosi sauditi è diventato, per molti, la colonna sonora perfetta della rivincita azzurra.
La voce della “punizione”: cosa c’è di vero
Sui social — soprattutto tra Facebook, TikTok e X — è circolata l’idea che De Laurentiis sia stato “cacciato” dai posti Vip per il mancato uso dei nomi in arabo.
Ad oggi non emergono conferme ufficiali a questa versione, né da parte degli organizzatori sauditi né da fonti della Lega.
Il protocollo locale prevede un’assegnazione rigida dei posti in tribuna, ma non risultano comunicazioni che parlino di una sanzione nei confronti del presidente del Napoli.
L’ipotesi più credibile, anche alla luce di precedenti gesti simili in assemblea di Lega, è che De Laurentiis abbia scelto una posizione defilata per rendere visibile il proprio dissenso verso la governance del calcio italiano.
Tre modelli a confronto
- Il Milan: abbraccia la via del soft power, adattandosi al mercato locale e puntando su operazioni di simpatia e vendita maglie.
- La Lega: spinge sul business a ogni costo, portando la Supercoppa dove l’offerta economica è più alta, anche a costo di stadi freddi e semivuoti.
- Il Napoli: sceglie l’orgoglio identitario, mantiene la maglia classica, vince sul campo e usa uno scalino per marcare la distanza dal sistema.
Cosa cambia nei rapporti con la Lega
Lo strappo con i vertici del calcio italiano non nasce a Riyad, ma lì trova una nuova immagine simbolica.
De Laurentiis da anni contesta il modello di governance, i criteri di distribuzione dei diritti TV, l’idea di fondi d’investimento nel campionato italiano e la scelta di portare la Supercoppa all’estero.
La serata saudita non fa che inasprire un gelo già evidente: il Napoli alza l’asticella della propria opposizione politica, mentre sul campo la squadra di Conte centra la finale, tenendo alto il valore sportivo del club in una manifestazione che il presidente continua a considerare “di sistema”.
📌 Il retroscena spiegato in quattro domande
Era obbligatorio avere i nomi in arabo?
No. L’iniziativa dei nomi in arabo rientrava nelle attività di marketing proposte per la Supercoppa.
Ogni club poteva aderire o meno: il Milan ha detto sì, il Napoli ha scelto di mantenere la propria maglia tradizionale.
Perché lo stadio sembrava tifare Milan?
In Arabia Saudita il tifo è spesso legato alla notorietà internazionale del brand.
Il Milan, con la sua storia europea e le recenti campagne commerciali nel Golfo, gode di un seguito più radicato rispetto agli azzurri, percepiti come ospiti meno “localizzati”.
La scena delle scale avrà conseguenze?
È probabile che il gesto irrigidisca ulteriormente i rapporti personali tra De Laurentiis e i vertici della Lega.
Sul piano formale, però, il Napoli continua a partecipare alle competizioni e a tutelare le proprie posizioni nelle sedi istituzionali previste.
Cosa resta di Riyad per i tifosi azzurri?
Restano due immagini: la squadra che vince sul campo e il presidente che sceglie le scale invece della poltrona.
Due facce della stessa idea: il Napoli vuole contare per i risultati sportivi, non per come si adegua ai palchi del potere.
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